Un modello agricolo per i paesi del Sud.
Provvedere ai bisogni alimentari dei nove miliardi e trecento milioni di esseri umani attesi nel 2050 sulla Terra costituisce una scommessa a priori non facile; ma per i paesi più poveri, dove si prevede una forte crescita demografica, la sfida si annuncia particolarmente difficile. Lì vive la maggioranza dei sotto alimentati cronici e lì nel 2007 e 2008 sono scoppiate le «rivolte della fame» dovute all'impennata dei prezzi agricoli. Ed è ancora lì, che le terre migliori, oggi scarsamente sfruttate per mancanza di mezzi finanziari, vengono accaparrate dalle potenze occidentali che vogliono importare agrocarburanti - o ancora dai paesi asiatici e del Golfo, che intendono garantirsi un sicuro approvvigionamento alimentare in previsione di un rialzo dei prezzi agricoli mondiali. È lì, infine, che il riscaldamento climatico ridurrà maggiormente i rendimenti agricoli potenziali - dal 15% al 30% per l'Africa subsahariana, secondo l'Organizzazione delle Nazioni unite per l'agricoltura e l'alimentazione (Fao).
L'impennata dei corsi agricoli, nel 2007 e 2008, ne ha dimostrato volatilità, screditando il dogma dell'«autoregolazione dei mercati».
Di fronte a una domanda alimentare stabile a breve termine, la produzione fluttua secondo le variazioni climatiche, il che comporta una notevole oscillazione di prezzi e redditi - motivo per cui gli stati, fin dall'Egitto dei faraoni, blindano l'offerta all'importazione e realizzano politiche di stoccaggio. Tuttavia, in agricoltura, la liberalizzazione degli scambi è stata imposta ai paesi indebitati, fin dagli anni '80, dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e dalla Banca mondiale; poi, nel 1994, le pressioni esercitate dalle industrie agroalimentari per far diminuire il prezzo delle derrate agricole, hanno portato all'Accordo sull'agricoltura (Asa) in seno all'Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Il compromesso, che aveva come «obiettivo a lungo termine (...) progressive riduzioni sostanziali del sostegno e della protezione all'agricoltura», rompe con l'Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (Gatt) del 1947, il quale non impediva la protezione all'importazione - anche se autorizzava le sovvenzioni all'esportazione.
Negoziate tra Unione europea (Ue) e Usa prima di essere estese a tutti i membri del Wto, le regole dell'Asa sono profondamente ingiuste verso i paesi in via di sviluppo (Pvs). È particolarmente vero per la definizione del dumping. Secondo il Wto, questa accusa riguarda il paese che sovvenziona un esportatore, ma non quando esporta al prezzo del mercato interno - anche se tale prezzo è inferiore al costo reale di produzione grazie a sostegni interni. A partire dal 1992, Bruxelles e Wa-shington hanno perciò molto diminuito i prezzi interni, per continuare a esportare senza rischiare l'accusa di dumping.
La distinzione operata dal Wto tra i sostegni autorizzati (scatola verde) e quelli sottoposti a riduzione perché «distorsivi degli scambi» (scatole «blu» e «arancio») (1) assomiglia molto a una mistificazione, su cui, tuttavia, continuano in sostanza a basarsi fin dal 1990 tutte le successive riforme della politica agricola comune (Pac) e del Farm Bill negli Stati uniti. Nei negoziati del ciclo di Doha, Usa e Ue hanno accettato di ridurre i sostegni «distorsivi» rispettivamente dell'80% e 70% rispetto al livello autorizzato nel periodo 1995-2000, in cambio di una soddisfacente apertura alle loro esportazioni dei mercati non agricoli e di servizi da parte dei Pvs; ma in realtà non hanno mai smesso di barare su questi sostegni «distorsivi». Washington ha infatti valutato i suoi in 8,5 miliardi di dollari per il 2007, mentre avevano raggiunto i 28,2 miliardi di dollari; allo stesso modo, Bruxelles ha dichiarato la somma di 43,1 miliardi di euro per il 2005-2006 (ultimo anno notificato) contro un importo reale di 72,9 miliardi di euro (2)! In altre parole, la loro offerta di riduzione non convince.
I due grandi esportatori hanno come complici il segretariato del Wto e il presidente del suo comitato di negoziazione per l'agricoltura.
Inoltre, anche se l'organo d'appello per le vertenze (3) del Wto ha deciso, il 3 dicembre 2001 - a proposito della questione dei prodotti lattieri del Canada - , che il dumping doveva riguardare anche le sovvenzioni interne ai prodotti esportati e, il 3 marzo 2005 - sul problema del cotone degli Stati uniti - , che gli aiuti americani diretti fissati non rientravano nella scatola verde, queste decisioni sono state considerate delle precisazioni che non comportano un vero cambiamento di regolamentazione.
Dato che un miliardo di esseri umani soffre di sotto alimentazione cronica e che altri due miliardi sono vittime di carenze di proteine o oligoelementi, la Fao ritiene che entro il 2050 sarà necessario aumentare la produzione alimentare mondiale del 70%. A questo scopo, durante il Vertice mondiale dell'alimentazione, nel 1996, sono state proposte due misure principali: da un lato, il trasferimento annuale di denaro pubblico dai paesi del Nord a quelli del Sud come sostegno all'agricoltura - una prima stima di 25 miliardi di dollari, è stata poi corretta in 44 miliardi, ma finora sono stati versati solo 7,9; dall'altro, la liberalizzazione degli scambi. Ora, benché somme così ingenti sarebbero le benvenute, nell'attuale situazione sembrano poco credibili; quanto alla liberalizzazione degli scambi, essa comporterebbe allo stesso tempo una grossa riduzione degli introiti budgetari e la rovina dei contadini nei Pvs. In realtà, un vero sviluppo dei paesi più poveri, come quelli dell'Africa subsahariana, non potrà avvenire se non si realizza a loro beneficio quella protezione in materia agricola che è riuscita così bene all'Unione e agli Stati uniti. Va del resto considerato che più i paesi sono sviluppati, più si proteggono dall'importazione dei prodotti alimentari di base, e questo malgrado un diritto medio di dogana agricola inferiore a quello dei Pvs. È vero che questo diritto medio non significa nulla.
Nei fatti: benché raggiunga il 22,9% sulle duemiladuecentodue linee tariffarie agricole di Bruxelles (e il 10,5% se si tiene conto delle importazioni a tariffa preferenziale), il diritto medio sui cereali resta del 50% nei Ventisette, contro il 5% nell'Unione economica e monetaria ovestafricana (Uemoa); se si tratta del latte in polvere: l'87%, contro il 5%; per i prodotti zuccherati: il 59%, contro il 20%; per le carni congelate (bovina, porcina e pollame): il 66%, contro il 20%. L'effetto straordinario esercitato dalla protezione su una produzione agricola è molto evidente se si mettono a confronto Kenya e Uemoa: il diritto doganale sul latte in polvere è passato nel primo dal 25% del 1999 al 35% del 2002 arrivando al 60% dopo il 2004, mentre è rimasto al 5% nell'altro. Il Kenya è un esportatore netto crescente di prodotti lattieri, con un consumo interno di centododici litri per persona; al contrario, le importazioni in equivalente latte rappresentano il 64% della produzione di latte dell'Africa dell'Ovest ed il consumo per persona raggiunge solo i trentacinque litri. Questi dati parlano a favore di una riorganizzazione di tutte le politiche agricole, a livello nazionale come nell'Asa, che sia basata sul principio della sovranità alimentare (4): sarebbe compito di ogni paese (o gruppo di paesi) darsi una politica agricola e alimentare a partire dalle proprie esigenze, purché non si faccia torto al resto del mondo praticando il dumping - il quale deve inglobare anche gli aiuti interni indiretti, come le sovvenzioni concesse per l'alimentazione del bestiame. Ritenere che l'Unione europea non abbia più bisogno di proteggere il proprio mercato agricolo, salvo contro le importazioni da paesi che non rispettino l'ambiente e le norme sociali minime - come sostengono i Verdi e i socialisti del Parlamento europeo insieme a molte organizzazioni non governative (Ong) - , rischia di essere assai pericoloso. Infatti, se un accordo fosse firmato nel quadro del ciclo di Doha e, a fortiori, se l'accordo di libero scambio con il Mercato comune del Sud (Mercosur) (5) fosse finalizzato come vorrebbe la Spagna - che presiederà l'Ue nel primo semestre 2010 - , gli alti diritti doganali imposti da Bruxelles per gli alimenti di base diminuirebbero. Ma la sopravvivenza degli agricoltori europei è legata al fatto che controllano il mercato interno, sul quale hanno riversato il 77,5% dei prodotti dal 2005 al 2007.
È dunque interesse dell'Unione sia rifondare Pac e Asa a partire dalla sovranità alimentare che produrre gli alimenti per il bestiame rinunciando al dumping generalizzato. Questo non le impedirà di esportare quando i prezzi agricoli mondiali saranno superiori ai prezzi interni privi di sovvenzioni. Concretamente, si potrebbero fissare prezzi remunerativi, garantiti da prelievi variabili all'importazione affinché gli agricoltori vicini al costo di produzione medio dell'Unione non abbiano bisogno di sovvenzioni per vivere. Esse, che dovrebbero avere un limite massimo e variare secondo gli stati membri, dovrebbero essere riservate ai contadini i cui costi siano superiori o che, pur producendo molto poco, abbiano bisogno di essere sostenuti per motivi sociali o ambientali (multifunzionalità) (6). Riguardo alle quantità, perché non fissare tetti per prodotto ripartendoli tra i Ventisette, in modo da ottenere un giusto equilibrio tra i vantaggi per ogni paese e la necessità di promuovere un'agricoltura polivalente pur minimizzando i costi di trasporto? Una simile riforma andrebbe in direzione opposta all'assurda deregolamentazione perseguita dalla Commissione europea.
La necessità di rifondare le proprie politiche agricole si impone ancor di più ai Pvs, visto il loro crescente deficit alimentare - che ha raggiunto, se si esclude il pesce, i 13,3 miliardi di dollari nel 2007. Dal momento che la riduzione della protezione all'importazione e delle sovvenzioni agricole «distorsive» costituisce la moneta di scambio dell'Unione e degli Stati uniti nei negoziati del ciclo di Doha, come contropartita dell'apertura dei mercati di prodotti non agricoli e di servizi dei Pvs, questi ultimi hanno in mano una carta vincente: possono denunciare la falsata interpretazione delle regole dell'Asa da parte di Ue e Usa, così come le loro massicce sotto-notifiche, e denunciarli al Wto. Se emergesse che le offerte di riduzione sono pura illusione, i Pvs non sarebbero più tenuti ad aprire i loro mercati non agricoli e di servizi, e si creerebbe uno spazio per rifondare le politiche agricole e l'Asa sulla base della sovranità alimentare.
note:
* Economista, membro del consiglio scientifico dell'Association pour la taxation des transactions financières pour l'aide aux citoyens (Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie per l'aiuto ai cittadini, Attac).
(1) Il Wto classifica le sovvenzioni per categorie, in «scatole» di colore diverso - «verde» per gli aiuti autorizzati senza limiti; «blu» per gli aiuti tollerati; «arancio» per gli aiuti da evitare o ridurre.
(2) «Gli Stati uniti non possono ridurre i loro sostegni agricoli nel Doha Round», «L'Unione europea non può ridurre i suoi sostegni agricoli interni nel Doha Round», rispettivamente il 2 agosto e il 2 settembre 2009 www.solidarite.asso.fr
(3) Termine abitualmente usato dall'Organo per la regolazione delle controversie (Ord) del Wto. Leggere Monique Chemillier-Gendreau, «Wto, uno strumento per controllare il modo», Le Monde diplomatique/il manifesto, novembre 2007.
(4) Gérard Choplin, Alexandra Strickner, Aurélie Trouvé, Souveraineté alimentaire: Que fait l'Europe?, Syllepse, Parigi, 2009.
(5) Riunisce Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay - l'adesione del Venezuela è in corso, mentre Bolivia, Colombia, Cile, Ecuador e Perù hanno lo statuto di paesi associati.
(6) Concetto apparso alla fine degli anni '90. Oltre alla funzione classica di produzione, l'agricoltura cosiddetta «multifunzionale» dovrebbe avere una dimensione ecologica e sociale.
(di JACQUES BERTHELOT * , da Le Monde Diplomatique - novembre 2009) (Traduzione di G. P.)
Le Monde Diplomatique
giovedì 17 dicembre 2009
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